Grazie

Dieci lebbrosi sentono parlare di Gesù e accorrono a lui.

In quei tempi, per evitare la propagazione del contagio, c’erano leggi ferree. Ad esempio, chi era affetto dal morbo non poteva avvicinarsi agli altri, doveva abitare isolato, fuori dai villaggi, e doveva gridare “Immondo” per annunciare la sua presenza.

Per questo motivo i dieci lebbrosi non osano avvicinarsi a Gesù e rimangono a distanza. Per farsi sentire gridano con tutta la speranza del cuore una breve preghiera, che nei Salmi è sempre rivolta a Dio: “Abbi pietà di noi“.

Il Signore accoglie quella disperata richiesta e dice loro di andare a presentarsi ai sacerdoti. All’epoca, infatti, era compito dei sacerdoti diagnosticare la lebbra ed, eventualmente, certificarne la guarigione. E mentre sono in cammino avviene il miracolo: guariscono prodigiosamente. Tra tutti, però, solo uno di essi torna per lodare e ringraziare.

Questo gesto strappa un’altra grazia a Gesù, che promette al miracolato: “Alzati e va’: la tua fede ti ha salvato“.

Oltre alla salvezza del corpo, anche quella dello spirito.

Se, apparentemente, il brano sembra parlare del potere taumaturgico di Gesù, in verità l’intento dell’evangelista è porre l’attenzione sulla gratitudine. Il racconto, infatti, è un invito a rinnovare uno spirito grato al Signore per ogni bene ricevuto.

La gratitudine a Dio, e anche alle altre persone, permette all’ottimismo di risplendere nelle nostre giornate, fugando le tenebre della negatività, togliendo le tossine della cattiveria.

Chi non ha uno spirito grato si riconosce subito: è spesso triste; parla male di tutti; intravede congiure e nemici dappertutto; ogni parola o gesto altrui pensa sia rivolto a sé stesso.

Il Signore abbia pietà di noi e ci doni la gioia di un cuore grato.

Commento all’omelia della XXVIII domenica del Tempo Ordinario, dal parroco, don Michele Fontana.

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